Le aziende che adottano lo smart working risparmiano in costi fissi. Due voci su tutte, gestione degli immobili ed energia, vengono intaccate in modo significativo. Ma per capire davvero l’entità del risparmio, bisogna fare riferimento a esperienze specifiche e studi in materia. Esperienze e studi che in Italia sono rintracciabili, ovviamente, nel periodo antecedente all’entrata in vigore della legge 22 maggio 2017 n. 81 che disciplina oggi il lavoro agile.
Il risparmio dello Smart Working nel caso Barilla
Il Gruppo Barilla, ad esempio, si è mosso per tempo. Nel 2013, infatti, l’azienda emiliana - che impiega nel mondo circa 8.000 persone, con un fatturato superiore a 3 miliardi di euro e 29 siti produttivi - ha avviato un progetto di smart working in tutte le filiali, nazionali e internazionali. Su 1.600 dipendenti coinvolti, circa 1.200 (oltre il 74%) hanno usufruito dell’opportunità. Aperto a tutti i dipendenti, ha visto una maggiore propensione al suo utilizzo da parte delle donne tra i 30 e i 55 anni, nonché da chi è costretto a fare un tragitto casa-ufficio mediamente lungo, cioè maggiore di 25 chilometri.
In un accordo del 2 marzo 2015, il Gruppo aveva fissato il limite del lavoro a distanza in 32 ore mensili, estensibili a 64. Visti gli esiti positivi, nel 2016 la soglia è stata raddoppiata a 8 giorni di smart working al mese, con un risparmio previsto di circa 2.136 euro per ciascun lavoratore. Che, moltiplicato per i 1.200 dipendenti coinvolti, corrisponde a più di due milioni e mezzo. Si capisce perché la multinazionale entro il 2020 punta a “lasciare a casa”, per l’intero orario di lavoro, tutto il personale impiegatizio, non perché oggetto di un licenziamento collettivo, quanto per l’adozione massiccia del sistema ormai entrato a regime.
Il risparmio dello Smart Working secondo l'osservatorio del Politecnico
In un’indagine del 2013 l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano aveva calcolato, in 37 miliardi di euro, il risparmio complessivo delle aziende “smart”. La cifra era venuta fuori dalle analisi svolte su circa 600 aziende e 1.000 addetti che comprendevano dirigenti, quadri e impiegati. Secondo la ricerca dell’Osservatorio, il lavoro agile sarebbe all’origine di un incremento medio di produttività pari al 5,5% per un totale di 27 miliardi. Gli altri 10 miliardi sarebbero frutto dei risparmi diretti derivanti da una riorganizzazione degli spazi di lavoro (1,3 miliardi) unita a processi di flessibilità che cuberebbero 8,6 miliardi.
La stessa ricerca metteva in evidenza una maggiore propensione allo smart working da parte delle aziende di grandi dimensioni e una certa diffidenza nelle PMI. A distanza di quattro anni dalle rilevazioni dell’Osservatorio, sembra che ormai anche le piccole e medie imprese abbiano capito che la flessibilità del lavoratore genera elevati livelli di produttività. Senza dimenticare che il nuovo regime normativo non fa differenza tra aziende private e pubblica amministrazione. Ciò significa che la PA potrebbe essere coinvolta in percorsi virtuosi di smart working. È sempre l’Osservatorio a prevedere quindi che, entro la fine del 2017, gli smart worker raggiungeranno in Italia un numero che si aggira intorno alle 300 mila unità.