Digital workplace è il nuovo paradigma di lavoro: connesso, agile, diffuso e rigorosamente digitale. Le aziende stanno percorrendo da tempo il cammino del digital workplace, avendo ormai compreso i benefici di produttività e di engagement che un ambiente di lavoro digitale, con meno vincoli a livello di presenza e orario, avrebbe avuto sul business e la competitività dell’impresa.
Difficile stimare l’impatto della pandemia sull’avanzata del digital workplace: è vero che in Italia dai 570.000 smart worker del 2019 si è passati ai 5,06 milioni di settembre 2020 (fonte: Osservatorio Smart Working, PoliMI), ma è peraltro vero che digital workplace non si esaurisce in un tool di cloud collaboration o nell’accesso remoto via VPN alle risorse aziendali, per cui l’impatto della pandemia – sia pur certamente importante – resta complesso da quantificare. Una cosa, però, è certa: il nuovo modo di lavorare pone una serie di interrogativi e di sfide a diverse funzioni aziendali, prima fra tutte l’IT. La trasformazione del paradigma lavorativo ha, infatti, un forte impatto sui temi della sicurezza e della compliance, sulla modernizzazione dell’infrastruttura e sull’adozione dei nuovi tool, per evitare di dare troppo spazio allo shadow IT.
Data security, ovvero come creare un digital workplace sicuro
Il tema della sicurezza del digital workplace è in assoluto il più rilevante dal punto di vista dell’IT. Lavorare al di fuori dell’azienda non solo scardina il concetto di protezione perimetrale, ma rende il perimetro stesso fluido e difficilmente definibile. Inoltre, le persone lavorano sempre più spesso da casa, si collegano da reti non sicure, tramite dispositivi personali non aggiornati e vulnerabili: il tema della sicurezza del dato, che ovviamente confina con quello della data privacy e della compliance normativa, è il primo da affrontare. Fortunatamente gli strumenti con cui raggiungere l’obiettivo non mancano, dalla crittografia di dati inattivi e in transito all’implementazione di un’infrastruttura desktop virtuale (VDI), oppure all’impiego di sistemi di identity management e di endpoint management, laddove quest’ultimo è decisamente indicato visto che ormai l’ufficio è ovunque.
Favorire e misurare l’adozione dei nuovi tool
Digital workplace rientra a pieno titolo nel macrocosmo della trasformazione digitale. Per questo, al di là delle sfide tecniche in senso stretto, è fondamentale affrontare un percorso di adoption dei nuovi strumenti, con relativa gestione del cambiamento. Non vi è dubbio, infatti, che nonostante digital workplace permetta maggiore libertà e agilità, la resistenza al cambiamento potrebbe limitare il successo della transizione e ridurne i benefici, che peraltro vanno quantificati e misurati mediante la definizione di appositi KPI.
Modernizzare l’infrastruttura
Nel passaggio al digital workplace, è raro che le aziende decidano di abbandonare completamente i propri sistemi legacy. Talvolta accade, come sperimentato con lo smart working “emergenziale” della prima fase della pandemia, che nuovi strumenti collaborativi si limitino ad affiancare applicazioni tanto solide quanto datate e non vengano fatti cambiamenti nei processi. Tutto questo, al di là dell’approccio emergenziale di cui sopra, è fortemente sconsigliato, poiché rafforza i silos di dati e confonde l’utente finale, oltre a porgere il fianco a limiti di sicurezza.
Limitare (il più possibile) lo shadow IT
I CIO sanno molto bene che i rischi associati al digital workplace sono spesso determinati dai comportamenti degli utenti. Per questo sono così importanti l’adoption e il change management: in caso contrario, gli utenti finali potrebbero decidere di collaborare e comunicare digitalmente ma usando strumenti dotati di una migliore user experience, più semplici, veloci e intuitivi. Spesso, tali strumenti appartengono al mercato consumer: il gruppo WhatsApp dell’ufficio ne è un esempio da manuale. Questi strumenti non sono soggetti alle policy aziendali e non possono essere controllati dall’IT, con rischi di sicurezza ma soprattutto di conformità nel momento in cui oltre a qualche messaggio, gli stessi vengono impiegati anche per la condivisione di contenuti riservati.