La digital transformation lancia oggi una sfida alle organizzazioni basata su un utilizzo dei dati in grado di assicurare ottimizzazione dei processi, maggiore efficienza, velocità e precisione nelle decisioni. Si tratta di una sfida che, per essere raccolta adeguatamente, necessita di sistemi in grado di gestire e analizzare una tale quantità di dati che sfugge alle prerogative dell’intelligenza umana. Infatti, la trasformazione digitale ha un driver che prende il nome di data driven management revolution. Esistono 3 elementi fondamentali di questa rivoluzione: Data, Cloud e Intelligenza Artificiale (AI). Solo la loro combinazione fa sì che un’impresa possa considerarsi data driven ready, capace cioè di convertire la conoscenza proveniente dai dati in un alleato strategico che non solo supporta le decisioni aziendali in chiave predittiva, e non più reattiva come avviene con i modelli di Business Intelligence anche più sofisticati, ma le rende anche automatiche. Perché interviene laddove l’essere umano non può arrivare con il mero calcolo manuale delle probabilità.
Si stima che, entro il 2020, per ogni persona verranno creati all’incirca 1,7 MB di dati al secondo. Ma da dove arrivano tutti questi dati e quali sono quelli con cui deve fare i conti in particolare un’azienda, a prescindere dalle sue dimensioni? Premesso che la loro varietà li rende accessibili o meno tramite API, li suddivide in interni o esterni all’azienda, li colloca fra quelli strutturati o destrutturati, una sommaria carrellata delle sorgenti da cui provengono deve comprendere:
Un sistema data driven davvero efficace non può escludere nessuna di queste fonti, ma deve integrarle, armonizzarle e trasformarle in valore per il business.
Per essere data driven ready l’ambiente Cloud rappresenta un passaggio obbligato. Ma non tutti i Cloud sono uguali. Infatti, i percorsi di migrazione rispondono alle esigenze di disponibilità, scalabilità, sicurezza, capacità di calcolo e integrazione con i sistemi legacy aziendali preesistenti. Proprio l’estrema frammentarietà e disomogeneità della base dati da armonizzare suggerisce un uso oculato di risorse adeguate, attingibili quando servono e sempre ottimizzate. Per questo, un modello data driven ritagliato sui bisogni specifici di un’impresa deve avvalersi di una soluzione che valorizzi la compresenza di più ambienti (Hybrid Cloud) o di una nuvola unica (Full Cloud). Anche il paradigma di migrazione scelto, PaaS o SaaS ad esempio, deve essere frutto di un’analisi accurata che prenda le mosse dalla peculiarità dell’ambiente sorgente (Hyper-V, VMware, macchine fisiche ecc.) per offrire poi al data driven journey l’autostrada adatta per esprimersi. La scelta del Cloud giusto ha un impatto sulla sostenibilità del progetto data driven, la cui misurabilità in termini di risultati va monitorata mediante indicatori KPI (Key Performance Indicator) e ROI (Return on Investment).
Grazie a Data e Cloud i manager hanno a disposizione dashboard molto ricche e dettagliate, certamente più intuitive e immediate dei classici fogli excel sui quali, in alternativa, sono soliti condurre le proprie analisi prima di ogni decisione strategica. Ma c’è un terzo elemento che fa capire in che misura si possa parlare di rivoluzione a proposito del data driven management. È l’intelligenza artificiale con una delle sue applicazioni oggi più diffuse, il machine learning, la vera innovazione che permette all’azienda di ottenere un vero vantaggio competitivo. Infatti, gli algoritmi di apprendimento automatico imparano costantemente dai dati che ricevono fino a rispondere automaticamente in vari modi. Diversi esempi oggi sono rintracciabili nei servizi finanziari, nel marketing, nella supply chain, nel retail, nell’industria energetica, nell’Healtcare. Aree e settori d’impresa nei quali dall’insieme organizzato dei dati, il data driven guida in autonomia verso la scelta migliore senza l’ausilio del supporto umano.