“Big Data: da data insight a data driven strategy” è il titolo emblematico di una ricerca condotta nel 2015 dall’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano. Nella ricerca le imprese esaminate mostravano di comprendere il valore dell’estrazione di insight dai dati, ma erano ancora lontane dall’adottare strategie di business Data Driven. Nell’84% del campione considerato, i dati utilizzati erano strutturati, ma stava già emergendo una tendenza a fare tesoro anche di quelli destrutturati. Già allora il ricorso a strumenti di Analytics interessava le principali funzioni aziendali: marketing & vendite, finanza e controllo, sistemi informativi, acquisti, produzione e supply chain.
A distanza di tre anni, il medesimo Osservatorio ha confermato la propensione a investire nel mercato dei Big Data Analytics, che valeva 790 milioni nel 2015 e oggi ha raggiunto la cifra di 1,4 miliardi di euro. Segno che i tempi sono ormai maturi per una Data Driven strategy che coincide sempre più spesso con modelli di Data Driven decision.
Come la BI è diventata davvero intelligente
Il rapporto tra dati e decisioni aziendali non è nato con l’avvento delle tecnologie evolute di Big Data Analytics e Insight. La stessa Business Intelligence (BI), quale processo aziendale volto a estrapolare informazioni strategiche dai dati, risale agli anni Cinquanta, mentre i software BI sono ovviamente più recenti. Nel mutare del tempo, tuttavia lo scopo è rimasto identico, cioè quello che li vede come un sistema a supporto delle decisioni. La vera differenza è nella tipologia di azione conseguente alle informazioni di cui si dispone. Prima, infatti, il management poteva compiere scelte di natura reattiva, come reazione, appunto, a un quadro d’insieme ricavato da documenti e supposizioni basati su fonti oggettive (cash flow, bilancio d’esercizio, vendite ecc.) oppure di tipo statistico (indagini di mercato, survey su campioni ad hoc ecc.). Oggi, invece, l’insieme di dati strutturati e non strutturati può essere immagazzinato e sfruttato per individuare connessioni, trend e orientamenti, tanto da poter guidare decisioni predittive, capaci cioè di anticipare fenomeni importanti di mercato come, ad esempio, il flusso della domanda in un determinato periodo o le preferenze d’acquisto suddivise per fasce di consumatori, territori e gamma di prodotto.
AI e machine learning per le decisioni predittive
Questa capacità deriva sia dalla ricchezza delle fonti, interne (CRM, ERP, apparati IoT) ed esterne (visite sito Web, social network, e-mail, call center), sia dalla velocità di acquisizione dei dati e dallo loro altrettanto celere conversione in insight. Una celerità che sfrutta l’intelligenza artificiale e i suoi automatismi. Senza l’AI, infatti, non sarebbe possibile distinguere subito i dati rilevanti da quelli di poca o nessuna importanza, così come scoprire connessioni nascoste e tendenze nell’oceano dei Big Data. Tanto che oggi il Machine Learning, quale algoritmo dell’AI in grado di apprendere costantemente dai dati che riceve, è usato quasi come sinonimo di analisi predittiva. Con il vantaggio ulteriore, rispetto al passato, che non sono richieste competenze specifiche per estrarre ciò che serve da questa mole informativa. Fino a qualche anno fa, i manager avrebbero dovuto rivolgersi a uno specialista IT per ottenere appositi report. Quelli attuali possono contare su dashboard intuitive e personalizzate da cui ricavare diversi tipi di report in base alle query inserite. Ecco perché i sistemi Data Driven permettono ai C-Level di prendere decisioni. Ed ecco perché queste decisioni, fondate su dati storici continuamente aggiornati, sono in grado di predire il futuro con buona probabilità di non essere smentiti.
Data Driven (automated) decision
Gli algoritmi di Machine Learning citati sopra aggiungono un’altra importante caratteristica ai Data Driven system: rendono automatiche le decisioni. Ciò significa che, per molte operazioni, non è necessario ricorrere a query di interrogazione dei dati. Le risposte arrivano in maniera invisibile dal software stesso. Tra gli esempi classici in merito si possono ricordare funzioni quali la product recommendation, solitamente presente nei motori di ricerca degli e-commerce retailer, con la quale si può conoscere un cliente in tempo reale, personalizzando così la pagina di navigazione a lui rivolta e suggerendogli prodotti pertinenti in ottica cross selling o upselling. O ancora, sempre nel medesimo ambito, il dynamic pricing grazie al quale il costo di un prodotto viene modificato al variare della domanda e senza che ci sia un analista che, ogni volta, debba confrontare voluminosi set di dati per prendere una decisione conseguente. Ma non è solo nel retail ad essere impattato positivamente dall’automatizzazione delle decisioni, ad esempio la sua applicazione in diversi settori d’impresa sta riscuotendo particolare favore nelle linee produttive che si avvalgono di apparati IoT. L’automazione dei processi, in tali contesti, genera quella che viene definita predictive maintenance, consente di abbassare il time to market e rende la supply chain molto più efficiente.