La crisi della supply chain in Italia
La recente crisi della supply chain a livello globale ha messo alla prova moltissime realtà, in Italia come all’estero. Una situazione che, però, ha colto relativamente di sorpresa in quanto per certi versi annunciata: prima ancora della carenza di materie prime conseguente alla pandemia e dell’attuale crisi internazionale, ci sono stati segnali significativi a partire dal blocco del Canale di Suez.
Al giorno d’oggi, con un business sempre più globalizzato, la crisi della supply chain in Italia è la conseguenza di eventi e fenomeni di portata internazionale. Le supply chain tendono a essere sempre più complesse e articolate: molte imprese basano il proprio business, ovvero i prodotti che forniscono ai consumatori o i servizi che erogano, su una rete composta da centinaia, migliaia di partner e fornitori, ognuno dei quali economicamente più o meno solido, soggetto ad eventi naturali e geopolitici, ad una normativa locale che evolve con continuità e a possibili supply chain disruption di altra natura.
Di fatto, viviamo in uno stato di perenne interconnessione, in cui i problemi di un nodo si ripercuotono su tutto il sistema. Sotto questo profilo, eventi come la pandemia e la guerra in Ucraina sono eloquenti.
Le difficoltà del panorama odierno, quindi, rendono necessario un intervento correttivo, con l’obiettivo di apportare cambiamenti e definire nuove strategie utili alle organizzazioni. Si pensi, ad esempio, al rischio di dipendere per intero da un unico fornitore o da un’unica rotta commerciale, oppure alle brusche oscillazioni dei prezzi – non più un’ipotesi remota, ma qualcosa di estremamente tangibile. O, ancora, alle implicazioni rischiose di puntare solo sul minor costo d’acquisto, senza considerare spese e tempi di trasporto. Tutto questo richiede un cambio di passo ai decision maker, che devono trovare nuovi modi di aggirare e superare queste situazioni critiche.
Se riorganizzare gli impianti produttivi e i relativi approvvigionamenti, però, richiederà anni, altri interventi possono essere condotti in tempi più brevi con risultati significativi. Importante al riguardo è il contributo offerto dall’IT, a condizione di esser pronti ancora una volta a mettere mano alla infrastruttura aziendale e a investire in soluzioni next-gen, fortemente innovative.
Importante al riguardo è il contributo offerto dall’IT alla creazione di una Digital Supply Chain. A condizione, ovviamente, di esser pronti ancora una volta a mettere mano alla infrastruttura aziendale e a investire in soluzioni next-gen, fortemente innovative.
Supply chain e crisi: tempo di riorganizzare
Una prima possibile soluzione passa per un allargamento del raggio d’azione. In altre parole, diversificare fornitori e partner della catena di approvvigionamento su scala geografica significa sia ridurre eventuali rischi dovuti a cause indipendenti dalla propria volontà – come imprevisti legati alle contingenze politiche – sia far fronte alle difficoltà del momento.
Con un maggiore impegno dal punto di vista organizzativo, è possibile avere un riscontro già nel breve termine. Oltre all’affidabilità, occorre valutare anche costi e tempi necessari a integrare nuovi partner nel proprio sistema informativo, specialmente se utilizzano protocolli standard nella trasmissione di informazioni tra gestionali oppure se la relativa infrastruttura è in grado di fornire adeguate garanzie in termini di sicurezza.
Parlando di riorganizzazione e “restauro” totale o parziale dei processi legati alla catena di approvvigionamento, le aziende possono cogliere un’altra occasione: allargare il paniere dei dati raccolti e analizzati, sfruttando l’Internet of Things (IoT). Certamente parliamo di un passaggio che comporta degli investimenti, ma che porta a risultati importanti già nell’immediato. Affidarsi alla potenza dei dati, infatti, rende possibile un salto di qualità, con ripercussioni positive su costi ed efficienza.
Un caso pratico è rappresentato dall’integrazione dei dati GPS dei veicoli interessati al trasporto merci: da qui si ricavano indicazioni preziose per stimare il tempo di arrivo effettivo di un carico e organizzare di conseguenza il personale per lo scarico e le linee di produzione. A tutto questo si aggiungono, inoltre, informazioni su traffico e meteo: così, si può arrivare a prevedere in anticipo eventuali ritardi nella consegna. A seconda del valore o del volume delle merci, tramite tecnologie come QR-Code, RFID e NFC, è possibile anche operare un tracking senza interruzioni dal container al singolo collo di prodotto, passando per pallet o imballi più grandi.
Se collegate a un gestionale di ultima generazione, poi, queste informazioni si traducono in processi amministrativi migliori e indicazioni più dettagliate per il personale operativo.
Una supply chain proiettata al futuro
Naturalmente, in un’ottica di cambiamento e di prevenzione della supply chain disruption, è necessario rivedere anche software e processi secondo una visione future-oriented. Servono, infatti, programmi in grado di acquisire ed elaborare dati di svariata natura, per tradurli in indicatori o correlarli con le informazioni condivise con fornitori e clienti. Fondamentale a questo punto è nuovamente il cloud, che permette di fornire agli utenti massima visibilità sui dati in qualsiasi condizione d’uso, dallo smart working alla mobility.
Vi è ancora un passaggio, per certi versi più sfidante: si tratta di trasformare il proprio sistema IT da strumento per operazioni e analisi a posteriori in sistema predittivo, capace di seguire principi di Machine Learning e Intelligenza Artificiale (AI) per prevenire situazioni sfavorevoli per il business. Il connubio di queste tecnologie aiuta, per esempio, a individuare per tempo eventuali anomalie e attivare processi di manutenzione predittiva, per scongiurare nuovi blocchi operativi – che si traducono in costi importanti per un’azienda.
Sono immediati, in questo caso, i benefici economici. I vantaggi di una supply chain rivisitata in ottica di condivisione dei dati con i partner, integrazione tra ERP, CRM e ogni altra sorgente dati aziendale ha sì un impatto positivo sulla spesa, ma permette anche di ridurre gli sprechi e di avere più certezze sui guadagni potenziali.