Una delle definizioni più calzanti di business resilience è quella offerta da McKinsey, che trattandone a proposito della pandemia, sottolinea quanto il mondo abbia appena conosciuto un livello di disruption e di business risk mai visto prima. In contesti economici contraddistinti da una forte incertezza “alcune aziende falliscono, mentre altre innovano, avanzano e addirittura prosperano. La differenza è la resilienza”. Partendo dalla definizione di McKinsey, appare chiaro fin da subito quanto l’idea di business resilience si origini da quella, ben più comune e diffusa, di continuità del business, rispetto alla quale è una sorta di estensione, di ampliamento: resilienza non è (solo) la capacità di reagire a una disruption e di mantenere attivi i processi di business accelerando la fase di recovery, bensì uno stato di flessibilità e agilità perenne che permette alle organizzazioni di trasformare le disruption in opportunità e le incertezze in vantaggio competitivo.
Questa visione è peraltro sottolineata da altri illustri analisti. Nel corso degli eventi Microsoft dedicati alla Resilience at Work, Philip Andersen di BCG riportò alcuni dati interessanti: per esempio, il 14% delle aziende è stato in grado di cavalcare i recenti periodi di avversità e gli shock economici aumentando sia le vendite/ricavi che i profitti. Il segreto di queste aziende, spiegò Andersen, sono stati gli investimenti e le decisioni prese in ottica di “resilienza”.
Il percorso che conduce alla business resilience è pervasivo e graduale. Rendere la cultura aziendale adattabile, le operation flessibili, l’organizzazione moderna e capace di valorizzare i dati richiede tempo e un profondo processo di cambiamento che va gestito nel migliore dei modi. Gli analisti sono peraltro concordi su un punto: la maturità digitale è un abilitatore critico di business resilience ed è fondamentale per poter raggiungere quei livelli di flessibilità e agilità che contraddistinguono le aziende di maggiore successo. In altri termini, un’evoluzione di tipo culturale e organizzativo non supportata da soluzioni moderne di gestione e ottimizzazione del business rischia di non produrre i risultati sperati.
Parlando ora di abilitazione tecnologica, esiste un vero e proprio percorso digitale che conduce alla resilience. Vediamone gli elementi evolutivi indispensabili.
Un passo fondamentale è la valorizzazione dei dati, ovvero la trasformazione dell’impresa in una data-driven company: i dati pervadono ogni ambito aziendale e, se adeguatamente raccolti e interpretati, permettono all’impresa di reagire con rapidità a nuovi trend di consumo e a nuove esigenze, ma anche di identificare eventuali sacche di inefficienza e correggerle con rapidità, migliorando tutti i processi decisionali e le operation. A tal proposito, si parla di democratizzazione dei dati, volendo sottolineare quanto la loro valorizzazione debba essere pervasiva all’interno dell’azienda e riguardare ogni dipartimento e funzione.
Le Agile Operation sono un altro elemento cardine della resilienza e, anche in questo caso, una moderna abilitazione tecnologica, fatta di piattaforme connesse, di ridondanza e flessibilità, ha un ruolo centrale nella capacità di adattamento alla disruption dei processi produttivi e di supply chain. Anche qui, la pandemia è stata un fulgido esempio di quanto sopra: il suo impatto dirompente, che ha colpito buona parte delle imprese a livello globale, è stato gestito nel migliore dei modi da tutte quelle strutture che avevano già intrapreso un percorso di forte digitalizzazione dei processi, dei rapporti all’interno delle supply chain e delle relazioni con tutti i player che rientrano nell’ecosistema del business aziendale.
Il percorso che conduce alla business resilience è poi strettamente connesso all’implementazione e alla governance efficiente di nuove infrastrutture IT e piattaforme applicative, alla modernizzazione del comparto tecnologico e all’evoluzione del modello di lavoro, che è un vero e proprio fondamento di agilità. Lo smart working della pandemia, che da semplice telelavoro si sta gradualmente trasformando in lavoro agile, è eloquente sotto questo profilo. Per avere successo, infatti, anche lo smart working (che è fondamento di business resilience) deve poggiare su un buon livello di maturità digitale, su una pervasiva digitalizzazione dei processi e deve essere finalizzato all’empowerment dell’employee, unico obiettivo in grado di assicurare all’azienda più engagement e produttività.
Infine, pilastro di business resilience è la sicurezza. Massimizzare l’impronta del digitale sui processi aziendali porta indubbi vantaggi, ma espone anche l’azienda a un incremento dei rischi cyber interni ed esterni, confermati dall’impennata degli eventi nel primo periodo di pandemia. Considerando che il costo medio per data breach è pari a circa 4,24 milioni di dollari (fonte: IBM), è fondamentale che, nel percorso di evoluzione digitale finalizzato alla resilienza, le imprese non trascurino l’aspetto della sicurezza, date le forti implicazioni sulla compliance e sulla sopravvivenza stessa dell’organizzazione.