Qualche mese fa Ferruccio de Bortoli sulle pagine dell’inserto economico del Corriere della Sera ha parlato del calo di produttività occorso in Italia negli ultimi 16 anni. È un calo che emerge nel confronto con Paesi come la Germania (e questo forse poteva essere scontato) ma anche come la Spagna. De Bortoli ha posto una questione centrale. Nonostante, infatti, il tema della produttività sia fondamentale, spesso è poco sottolineato. Tanto che le analisi tese a misurare la “salute economica” di una nazione si concentrano quasi sempre sul Pil, cioè sulla ricchezza prodotta in un determinato periodo di tempo. Se dal quadro generale si passa alla singola impresa, per analogia si potrebbe dire che di un’azienda viene considerato un unico indicatore, il fatturato. Come si misura, invece, la produttività aziendale?
Misurare la produttività aziendale
Generalmente per misurare la produttività aziendale si parte dal calcolo del rendimento dei lavoratori basato sul rapporto ora/uomo. Poiché il primo fattore, il tempo, è oggettivo, bisognerà focalizzare l’attenzione sul secondo, il fattore umano (titolo, fra l’altro, di un noto romanzo dello scrittore Graham Greene). Sebbene, in questo caso, le varianti possano apparire numerose, esistono tuttavia degli indici che permettono di monitorare il rendimento dei collaboratori. Ne indichiamo solo alcuni:
- Percentuale di prodotto e/o servizi venduti in relazione al numero dei lavoratori
- Percentuale di insoddisfazione dei clienti in generale e suddiviso per unità produttiva
- Percentuale di assenteismo del personale complessivo e suddiviso per unità produttiva
- Percentuale di ritardo del personale in generale e per reparto o area aziendale
- Percentuale di malattia in generale o suddivisa per reparto
Se ne potrebbero aggiungere altri, ma questo elenco sommario serve a suggerire una questione di metodo: bisogna avere dati certi che fotografino la situazione reale delle risorse umane impiegate in azienda.
Una parola su tutte, motivazione
Una volta che si hanno questi dati, il passaggio successivo deve scandagliare le cause e i perché. In particolare, deve essere in grado di individuare gli elementi che fanno leva sulla motivazione. Diversi studi, infatti, hanno evidenziato uno stretto legame tra prestazione e motivazione. E non bisogna cadere nella facile equazione che fa discendere un incremento di motivazione esclusivamente da un aumento di salario. Altrimenti non si spiegherebbe come, a parità di compenso, si osservano prestazioni differenti. Esistono dei freni demotivanti, interni o esterni all’azienda, sui quali è possibile intervenire. Tra questi rientrano:
- Distanza dal luogo di lavoro
- Turnazioni che lasciano poco spazio alla vita personale e familiare
- Percezione di mancanza di fiducia da parte del management
- Scarsa identificazione delle mansioni assegnate con la mission aziendale
- Inadeguata valorizzazione dei risultati raggiunti
Anche questa lista, come la precedente, potrebbe essere più lunga, ma ha semplicemente lo scopo di far capire che se si riescono a determinare gli ostacoli che si frappongono a una soddisfazione migliore o piena del lavoratore, si potranno trovare le soluzioni idonee a rimuoverli.